< Pagina:Gerusalemme liberata I.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

CANTO SETTIMO. 217

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:243|3|0]]

LIII.


  Tal nell’arme ei fiammeggia, e bieche e torte
Volge le luci ebre di sangue e d’ira.
Spirano gli atti feri orror di morte,
420E minacce di morte il volto spira.
Alma non è così sicura e forte
Che non paventi, ove un sol guardo gira.
Nuda ha la spada, e la solleva, e scuote
424Gridando, e l’aria, e l’ombre invan percuote.

LIV.


  Ben tosto, dice, il predator Cristiano,
Ch’audace è sì ch’a me vuole agguagliarsi,
Caderà vinto e sanguinoso al piano,
428Bruttando nella polve i crini sparsi;
E vedrà vivo ancor da questa mano,
Ad onta del suo Dio, l’arme spogliarsi:
Nè, morendo, impetrar potrà co’ preghi
432Che in pasto a’ cani le sue membra i’ neghi.

LV.


  Non altramente il tauro, ove l’irriti
Geloso amor con stimoli pungenti,
Orribilmente mugge, e co’ muggiti
436Gli spirti in se risveglia, e l’ire ardenti,
E ’l corno aguzza ai tronchi; e par ch’inviti
Con vani colpi alla battaglia i venti:
Sparge col piè l’arena, e ’l suo rivale
440Da lunge sfida a guerra aspra e mortale.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.