< Pagina:Gerusalemme liberata I.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

CANTO SETTIMO. 219

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:245|3|0]]

LIX.


  Ed oltre i dieci che fur tratti a sorte,
I migliori del campo e i più famosi
Seguir d’Armida le fallaci scorte,
468Sotto il silenzio della notte ascosi.
Gli altri, di mano e d’animo men forte,
Taciti se ne stanno e vergognosi:
Nè v’è chi cerchi in sì gran rischio onore;
472Chè vinta la vergogna è dal timore.

LX.


  Al silenzio, all’aspetto, ad ogni segno,
Di lor temenza il Capitan s’accorse;
E tutto pien di generoso sdegno,
476Dal loco ove sedea repente sorse,
E disse: ah ben sarei di vita indegno,
Se la vita negassi or porre in forse,
Lasciando ch’un Pagan, così vilmente
480Calpestasse l’onor di nostra gente.

LXI.


  Sieda in pace il mio campo, e, da sicura
Parte, miri ozioso il mio periglio.
Su su datemi l’arme: e l’armatura
484Gli fu recata in un girar di ciglio.
Ma il buon Raimondo, che in età matura
Parimente maturo avea il consiglio,
E verdi ancor le forze a par di quanti
488Erano quivi, allor si trasse avanti.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.