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250 LA GERUSALEMME

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XXVI.


  Non rimaneva in me tanta virtude
Ch’a discerner le cose io fossi presto;
Ma vedea come quei ch’or apre, or chiude
204Gli occhj, mezzo tra ’l sonno e l’esser desto:
E ’l duolo omai delle ferite crude
Più cominciava a farmisi molesto:
Chè l’inaspria l’aura notturna e ’l gelo,
208In terra nuda e sotto aperto Cielo.

XXVII.


  Più e più ognor s’avvicinava intanto
Quel lume, e insieme un tacito bisbiglio:
Sicch’a me giunse, e mi si pose accanto.
212Alzo allor, bench’appena, il debil ciglio,
E veggio due vestiti in lungo manto
Tener due faci, e dirmi sento: o figlio,
Confida in quel Signor ch’a’ pii sovviene,
216E con la grazia i preghi altrui previene.

XXVIII.


  In tal guisa parlommi; indi la mano,
Benedicendo, sovra me distese:
E susurrò con suon devoto e piano
220Voci allor poco udite, e meno intese.
Sorgi, poi disse, ed io leggiero e sano
Sorgo, e non sento le nemiche offese:
(Oh miracol gentile!) anzi mi sembra
224Piene di vigor novo aver le membra.

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