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CANTO OTTAVO. 255

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XLI.


  Tacque; e per lochi ora sublimi or cupi
Mi scorse, onde a gran pena il fianco trassi;
Sinch’ove pende da selvagge rupi
324Cava spelonca raccogliemmo i passi.
Questo è il suo albergo: ivi fra gli orsi e i lupi,
Col discepolo suo, sicuro stassi;
Chè difesa miglior ch’usbergo e scudo,
328È la santa innocenza al petto ignudo.

XLII.


  Silvestre cibo, e duro letto porse
Quivi alle membra mie posa e ristoro.
Ma poi ch’accesi in Oriente scorse
332I raggj del mattin purpurei e d’oro;
Vigilante ad orar subito sorse
L’uno e l’altro Eremita, ed io con loro.
Dal santo vecchio poi congedo tolsi,
336E quì, dov’egli consigliò, mi volsi.

XLIII.


  Quì si tacque il Tedesco; e gli rispose
Il pio Buglione: o cavalier, tu porte
Dure novelle al campo e dolorose,
340Onde a ragion si turbi e si sconforte:
Poichè genti sì amiche e valorose
Breve ora ha tolte, e poca terra assorte:
E in guisa d’un baleno il Signor vostro
344S’è in un sol punto dileguato, e mostro.

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