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CANTO OTTAVO. | 261 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:289|3|0]]
LIX.
Alfin questi sull’alba i lumi chiuse:
Nè già fu sonno il suo queto e soave;
Ma fu stupor, ch’Aletto al cor gl’infuse,
468Non men che morte sia, profondo e grave.
Sono le interne sue virtù deluse,
E riposo dormendo anco non ave;
Chè la furia crudel gli s’appresenta
472Sotto orribili larve, e lo sgomenta.
LX.
Gli figura un gran busto, ond’è diviso
Il capo, e della destra il braccio è mozzo:
E sostien con la manca il teschio inciso,
476Di sangue e di pallor, livido e sozzo.
Spira, e parla spirando il morto viso,
E ’l parlar vien col sangue, e col singhiozzo:
Fuggi Argillan, non vedi omai la luce?
480Fuggi le tende infami, e l’empio Duce.
LXI.
Chi dal fero Goffredo, e dalla frode
Ch’uccise me, voi cari amici affida?
D’astio dentro il fellon tutto si rode,
484E pensa sol come voi meco uccida.
Pur, se cotesta mano a nobil lode
Aspira, e in sua virtù tanto si fida,
Non fuggir nò: plachi il Tiranno esangue
488Lo spirto mio col suo malvagio sangue.