< Pagina:Gerusalemme liberata I.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

CANTO OTTAVO. 265

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:293|3|0]]

LXXI.


  Io io vorrei, se ’l vostro alto valore,
Quanto egli può, tanto voler osasse,
Ch’oggi per questa man nell’empio core,
564Nido di tradigion, la pena entrasse.
Così parla agitato, e nel furore
E nell’impeto suo ciascuno ei trasse.
Arme arme freme il forsennato, e insieme
568La gioventù superba arme arme freme.

LXXII.


  Rota Aletto fra lor la destra armata,
E col foco il velen ne’ petti mesce.
Lo sdegno, la follia, la scellerata
572Sete del sangue ogn’or più infuria, e cresce;
E serpe quella peste, e si dilata,
E degli alberghi Italici fuor n’esce:
E passa fra gli Elvezj, e vi s’apprende,
576E di là poscia anco agl’Inglesi tende.

LXXIII.


  Nè sol l’estrane genti avvien che muova
Il duro caso, e ’l gran pubblico danno:
Ma le antiche cagioni all’ira nuova
580Materia insieme, e nutrimento danno.
Ogni sopito sdegno or si rinnuova:
Chiamano il popol Franco empio e tiranno:
E in superbe minacce esce diffuso
584L’odio, che non può starne omai più chiuso.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.