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266 | LA GERUSALEMME |
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LXXIV.
Così nel cavo rame umor che bolle
Per troppo foco, entro gorgoglia e fuma:
Nè capendo in se stesso, alfin s’estolle
588Sovra gli orli del vaso, e inonda, e spuma.
Non bastano a frenar il volgo folle
Que’ pochi, a cui la mente il vero alluma.
E Tancredi, e Camillo eran lontani,
592Guglielmo, e gli altri in podestà soprani.
LXXV.
Corrono già precipitosi all’armi
Confusamente i popoli feroci:
E già s’odon cantar bellici carmi
596Sediziose trombe in fere voci.
Gridano intanto al pio Buglion che s’armi,
Molti di qua di là nunzj veloci;
E Baldovino innanzi a tutti armato
600Gli s’appresenta, e gli si pone a lato.
LXXVI.
Egli ch’ode l’accusa, i lumi al Cielo
Drizza, e pur come suole, a Dio ricorre:
Signor, tu che sai ben con quanto zelo
604La destra mia dal civil sangue abborre;
Tu squarcia a questi della mente il velo,
E reprimi il furor che sì trascorre:
E l’innocenza mia, che costà sopra
608È nota, al mondo cieco anco si scopra.