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CANTO NONO. 283

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XXXV.


  Il padre (ah non più padre! ahi fera sorte,
Ch’orbo di tanti figlj a un punto il face!)
Rimira in cinque morti or la sua morte,
276E della stirpe sua che tutta giace.
Nè so come vecchiezza abbia sì forte
Nelle atroci miserie, e sì vivace,
Che spiri e pugni ancor: ma gli atti, e i visi
280Non mirò forse de’ figliuoli uccisi.

XXXVI.


  E di sì acerbo lutto agli occhj sui
Parte l’amiche tenebre celaro.
Contuttociò nulla sarebbe a lui,
284Senza perder se stesso, il vincer caro.
Prodigo del suo sangue, e dell’altrui
Avidissimamente è fatto avaro:
Nè si conosce ben qual suo desire
288Paja maggior, l’uccidere o ’l morire.

XXXVII.


  Ma grida al suo nemico: è dunque frale
Sì questa mano, e in guisa ella si sprezza,
Che con ogni suo sforzo ancor non vale
292A provocare in me la tua fierezza?
Tace, e percossa tira aspra e mortale
Che le piastre e le maglie insieme spezza,
E sul fianco gli cala e vi fa grande
296Piaga, onde il sangue tepido si spande.

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