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310 LA GERUSALEMME

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XIV.


  Loda il vecchio i suoi detti: e perchè l’aura
Notturna avea le piaghe incrudelite,
Un suo licor v’instilla, onde ristaura
108Le forze, e salda il sangue e le ferite.
Quinci veggendo omai ch’Apollo inaura
Le rose che l’Aurora ha colorite;
Tempo è, disse, al partir; chè già ne scopre
112Le strade il Sol ch’altrui richiama all’opre.

XV.


  E sovra un carro suo, che non lontano
Quinci attendea, col fier Niceno ei siede:
Le briglie allenta, e con maestra mano
116Ambo i corsieri alternamente fiede.
Quei vanno sì, che ’l polveroso piano
Non ritien della ruota orma, o del piede.
Fumar gli vedi, ed anelar nel corso,
120E tutto biancheggiar di spuma il morso.

XVI.


  Maraviglie dirò: s’aduna e stringe
L’aer d’intorno, in nuvolo raccolto,
Sicchè ’l gran carro ne ricopre e cinge;
124Ma non appar la nube o poco o molto:
Nè sasso, che mural machina spinge,
Penetreria per lo suo chiuso e folto:
Ben veder ponno i duo’ dal curvo seno
128La nebbia intorno, e fuori il Ciel sereno.

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