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CANTO DECIMO. | 315 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:347|3|0]]
XXIX.
Cava grotta s’apria nel duro sasso,
Di lunghissimi tempi avanti fatta;
Ma, disusando, or riturato il passo
228Era tra i pruni e l’erbe ove s’appiatta.
Sgombra il Mago gl’intoppi, e curvo e basso
Per l’angusto sentiero a gir s’adatta:
E l’una man precede, e ’l varco tenta,
232L’altra per guida al Principe appresenta.
XXX.
Dice allora il Soldan: qual via furtiva
È questa tua, dove convien ch’io vada?
Altra forse miglior io me n’apriva,
236Se ’l concedevi tu, con la mia spada.
Non sdegnar, gli risponde, anima schiva,
Premer col forte piè la buja strada;
Chè già solea calcarla il grande Erode,
240Quel c’ha nell’armi ancor sì chiara lode.
XXXI.
Cavò questa spelonca, allor che porre
Volse freno ai soggetti, il Re ch’io dico:
E per essa potea, da quella torre
244Ch’egli Antonia appellò dal chiaro amico,
Invisibile a tutti il piè raccorre
Dentro la soglia del gran tempio antico:
E quindi occulto uscir della Cittate,
248E trarne ed introdur genti celate.