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316 LA GERUSALEMME

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XXXII.


  Ma nota è questa via solinga e bruna
Or solo a me degli uomini viventi.
Per questa andremo al loco, ove raguna
252I più saggj a consiglio e i più potenti
Il Re, ch’al minacciar della fortuna,
Più forse che non dee, par che paventi.
Ben tu giungi a grand’uopo: ascolta, e taci;
256Poi muovi a tempo le parole audaci.

XXXIII.


  Così gli disse; e ’l cavaliero allotta
Col gran corpo ingombrò l’umil caverna:
E per le vie, dove mai sempre annotta,
260Seguì colui che ’l suo cammin governa.
Chini pria se n’andar; ma quella grotta
Più si dilata, quanto più s’interna;
Sicchè asceser con agio, e tosto furo
264A mezzo quasi di quell’antro oscuro.

XXXIV.


  Apriva allora un picciol uscio Ismeno,
E se ne gían per disusata scala,
A cui luce mal certo e mal sereno
268L’aere che giù d’alto spiraglio cala.
In sotterraneo chiostro alfin venieno,
E salian quindi in chiara e nobil sala.
Quì con lo scettro, e col diadema in testa
272Mesto sedeasi il Re fra gente mesta.

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