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CANTO DECIMO. | 325 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:357|3|0]]
LIX.
E dice lor: prego ch’alcun racconti
De’ vostri brevi errori il dubbio corso:
E come poscia vi trovaste pronti
468In sì grand’uopo a dar sì gran soccorso.
Vergognando tenean basse le fronti:
Ch’era al cor picciol fallo amaro morso.
Alfin del Re Britanno il chiaro figlio
472Ruppe il silenzio, e disse, alzando il ciglio:
LX.
Partimmo noi, che fuor dell’urna a sorte
Tratti non fummo, ognun per se nascoso,
D’Amor (nol nego) le fallaci scorte
476Seguendo; e un bel volto insidioso
Per vie ne trasse disusate e torte:
Fra noi discordi, e in se ciascun geloso,
Nutrian gli amori, e i nostri sdegni (ahi tardi
480Troppo il conosco!) or parolette, or guardi.
LXI.
Alfin giungemmo al loco, ove già scese
Fiamma dal Cielo in dilatate falde:
E di natura vendicò le offese
484Sovra le genti in mal oprar sì salde.
Fu già terra feconda, almo paese,
Or acque son bituminose e calde,
E steril lago: e quanto ei torce e gira,
488Compressa è l’aria, e grave il puzzo spira.