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42 | LA GERUSALEMME |
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XXVI.
Presa è la bella donna, e incrudelito
Il Re la danna entro un incendio a morte.
Già ’l velo, e ’l casto manto è a lei rapito;
204Stringon le molli braccia aspre ritorte.
Ella si tace; e in lei non sbigottito,
Ma pur commosso alquanto è il petto forte;
E smarrisce il bel volto in un colore,
208Che non è pallidezza, ma candore.
XXVII.
Divulgossi il gran caso, e quivi tratto
Già ’l popol s’era: Olindo anco v’accorse;
Dubbia era la persona, e certo il fatto,
212Venia, che fosse la sua donna in forse.
Come la bella prigionera in atto
Non pur di rea, ma di dannata ei scorse;
Come i ministri al duro uficio intenti
216Vide, precipitoso urtò le genti.
XXVIII.
Al Re gridò: non è, non è già rea
Costei del furto, e per follia sen vanta.
Non pensò, non ardì, nè far potea
220Donna sola e inesperta opra cotanta.
Come ingannò i custodi? e della Dea
Con qual'arte involò l’immagin santa?
Se ’l fece, il narri. Io l’ho, Signor, furata.
224Ahi tanto amò la non amante amata!