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CANTO SECONDO. 43

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XXIX.


  Soggiunse poscia: io là, donde riceve
L’alta vostra Meschita e l’aura e ’l die;
Di notte ascesi, e trapassai per breve
228Foro, tentando inaccessibil vie.
A me l’onor, la morte a me si deve;
Non usurpi costei le pene mie.
Mie son quelle catene, e per me questa
232Fiamma s’accende, e ’l rogo a me s’appresta.

XXX.


  Alza Sofronia il viso, e umanamente
Con occhj di pietade in lui rimira.
A chè ne vieni, o misero innocente?
236Qual consiglio o furor, ti guida o tira?
Non son'io dunque senza te possente
A sostener ciò che d’un uom può l’ira?
Ho petto anch’io ch’ad una morte crede
240Di bastar solo, e compagnia non chiede.

XXXI.


  Parla così all’amante, e nol dispone
Sì ch’egli si disdica, e pensier mute.
O spettacolo grande, ove a tenzone
244Sono amore e magnanima virtute!
Ove la morte al vincitor si pone
In premio; e ’l mal del vinto è la salute!
Ma più s’irrita il Re, quant’ella, ed esso
248È più costante in incolpar se stesso.

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