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CANTO TERZO. | 75 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:93|3|0]]
XXIII.
Ei ch’al cimiero, ed al dipinto scudo
Non badò prima, or, lei veggendo, impetra.
Ella, quanto può meglio, il capo ignudo
180Si ricopre, e l’assale; ed ei s’arretra.
Va contra gli altri, e ruota il ferro crudo;
Ma però da lei pace non impetra;
Che minacciosa il segue, e volgi, grida:
184E di due morti in un punto lo sfida.
XXIV.
Percosso il cavalier non ripercote;
Nè sì dal ferro a riguardarsi attende,
Come a guardar i begli occhj e le gote,
188Ond’Amor l’arco inevitabil tende.
Fra se dicea: van le percosse vote
Talor che la sua destra armata scende:
Ma colpo mai del bello ignudo volto
192Non cade in fallo, e sempre il cor m’è colto.
XXV.
Risolve alfin, benchè pietà non spere,
Di non morir, tacendo, occulto amante.
Vuol ch’ella sappia ch’un prigion suo fere
196Già inerme, e supplichevole e tremante.
Onde le dice: o tu che mostri avere
Per nemico me sol fra turbe tante,
Usciam di questa mischia; ed in disparte
200Io potrò teco, e tu meco provarte.