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CANTO DECIMOQUARTO. 109

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XLI.


  Risponde: sete voi nel grembo immenso
Della terra che tutto in se produce.
Nè già potreste penetrar nel denso
324Delle viscere sue senza me duce.
Vi scorgo al mio palagio, il qual accenso
Tosto vedrete di mirabil luce.
Nacqui io Pagan; ma poi nelle sante acque
328Rigenerarmi a Dio per grazia piacque.

XLII.


  Nè in virtù fatte son d’Angioli stigj
L’opere mie maravigliose e conte.
Tolga Dio ch’usi note o suffumigj,
332Per isforzar Cocíto, o Flegetonte.
Ma spiando men vo da’ lor vestigj
Qual’ in sè virtù celi o l’erba, o ’l fonte:
E gli altri arcani di Natura ignoti
336Contemplo, e delle stelle i varj moti.

XLIII.


  Perocchè non ognor lunge dal Cielo
Tra sotterranei chiostri è la mia stanza;
Ma sul Libano spesso, e sul Carmelo
340In aerea magion fo dimoranza.
Ivi spiegansi a me, senza alcun velo,
Venere e Marte in ogni lor sembianza:
E veggio come ogni altra o presto o tardi
344Roti: o benigna o minaccevol guardi.

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