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CANTO DECIMOQUARTO. | 111 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:129|3|0]]
XLVII.
E in lui m’acqueto; egli comanda e insegna,
Mastro insieme e signor sommo e sovrano:
Nè già per nostro mezzo oprar disdegna
372Cose degne talor della sua mano.
Or sarà cura mia ch’al campo vegna
L’invitto eroe dal suo carcer lontano;
Ch’ei la m’impose, e già gran tempo aspetto
376Il venir vostro, a me per lui predetto.
XLVIII.
Così con lor parlando al loco viene
Ov’egli ha il suo soggiorno e ’l suo riposo.
Questo è in forma di speco, e in se contiene
380Camare e sale, grande e spazioso.
E ciò che nudre entro le ricche vene
Di più chiaro la terra e prezioso,
Splende ivi tutto: ed ei n’è in guisa ornato,
384Ch’ogni suo fregio è non fatto, ma nato.
XLIX.
Non mancar quì cento ministri e cento
Che accorti e pronti a servir gli osti foro.
Nè poi in mensa magnifica d’argento
388Mancar gran vasi, e di cristallo, e d’oro.
Ma quando sazio il natural talento
Fu de’ cibi, e la sete estinta in loro:
Tempo è ben, disse ai cavalieri il mago,
392Che il maggior desir vostro omai sia pago.