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118 | LA GERUSALEMME |
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LXVIII.
Di ligustri, di giglj, e delle rose
Le quai fiorian per quelle piaggie amene,
Con nov’arte congiunte, indi compose
540Lente ma tenacissime catene.
Queste al collo, alle braccia, ai piè gli pose:
Così l’avvinse, e così preso il tiene:
Quinci, mentre egli dorme, il fa riporre
544Sovra un suo carro, e ratta il Ciel trascorre.
LXIX.
Nè già ritorna di Damasco al regno,
Nè dove ha il suo castello in mezzo all’onde;
Ma, ingelosita di sì caro pegno
548E vergognosa del suo amor, s’asconde
Nell’Oceano immenso, ove alcun legno
Rado o non mai va dalle nostre sponde,
Fuor tutti i nostri lidi: e quivi eletta
552Per solinga sua stanza è un’isoletta.
LXX.
Un’isoletta la qual nome prende,
Con le vicine sue, dalla Fortuna.
Quinci ella in cima a una montagna ascende
556Disabitata, e d’ombre oscura e bruna.
E per incanto a lei nevose rende
Le spalle, e i fianchi: e senza neve alcuna
Gli lascia il capo verdeggiante e vago:
560E vi fonda un palagio appresso un lago;