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CANTO DECIMOQUINTO. | 141 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:161|3|0]]
LIII.
Ma poi che già le nevi ebber varcate,
E superato il discosceso e l’erto;
Un bel tepido Ciel di dolce state
420Trovaro, e ’l pian sul monte ampio ed aperto.
Aure fresche maisempre ed odorate
Vi spiran con tenor stabile e certo:
Nè i fiati lor, siccome altrove suole,
424Sopisce o desta, ivi girando, il Sole.
LIV.
Nè, come altrove suol, ghiaccj ed ardori,
Nubi e sereni a quelle piaggie alterna;
Ma il Ciel di candidissimi splendori
428Sempre s’ammanta, e non s’infiamma o verna;
E nutre ai prati l’erba, all’erba i fiori,
Ai fior l’odor, l’ombra alle piante eterna.
Siede sul lago, e signoreggia intorno
432I monti e i mari il bel palagio adorno.
LV.
I Cavalier per l’alta aspra salita
Sentiansi alquanto affaticati e lassi:
Onde ne gían per quella via fiorita
436Lenti, or movendo ed or fermando i passi;
Quando ecco un fonte, che a bagnar gl’invita
Le asciutte labbra, alto cader da’ sassi
E da una larga vena, e con ben mille
440Zampilletti spruzzar l’erbe di stille.