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CANTO DECIMOSETTIMO. | 201 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:225|3|0]]
LXXXIII.
Ma Carlo, il quale a lui del regio erede
Di Dania già narrata avea la morte,
La destinata spada allor gli diede.
660Prendila, disse, e sia con lieta sorte:
E solo in pro della Cristiana fede
L’adopra, giusto e pio, non men che forte.
E fa del primo suo signor vendetta,
664Che t’amò tanto: e ben a te s’aspetta.
LXXXIV.
Rispose egli al Guerriero: ai Cieli piaccia,
Che la man che la spada ora riceve
Con lei del suo signor vendetta faccia:
668Paghi con lei ciò che per lei si deve.
Carlo rivolto a lui, con lieta faccia,
Lunghe grazie ristrinse in sermon breve.
Ma lor s’offriva intento, ed al viaggio
672Notturno gli affrettava il nobil Saggio.
LXXXV.
Tempo è, dicea, di girne ove t’attende
Goffredo e ’l campo; e ben giungi opportuno.
Or n’andiam pur; chè alle Cristiane tende
676Scorger ben vi saprò per l’aer bruno.
Così dice egli; e poi sul carro ascende,
E lor v’accoglie senza indugio alcuno:
E rallentando a’ suoi destrieri il morso,
680Gli sferza, e drizza all’Oriente il corso.