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CANTO DECIMOTTAVO. 217

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XXIX.


  Giungi aspettato a dar salute all’egra,
D’amoroso pensiero arsa e ferita.
Questa selva che dianzi era sì negra,
228Stanza conforme alla dolente vita;
Vedi che tutta al tuo venir s’allegra,
E in più leggiadre forme è rivestita.
Tale era il canto; e poi dal mirto uscia
232Un dolcissimo suono: e quel s’apria.

XXX.


  Già nell’aprir di un rustico Sileno
Maraviglie vedea l’antica etade;
Ma quel gran mirto dall’aperto seno
236Immagini mostrò più belle e rade:
Donna mostrò ch’assomigliava appieno,
Nel falso aspetto, angelica beltade.
Rinaldo guata, e di veder gli è avviso
240Le sembianze d’Armida, e il dolce viso.

XXXI.


  Quella lui mira in un lieta e dolente:
Mille affetti in un guardo appajon misti.
Poi dice: io pur ti veggio: e finalmente
244Pur ritorni a colei da cui fuggisti.
A chè ne vieni? a consolar presente
Le mie vedove notti e i giorni tristi?
O vieni a mover guerra, a discacciarme;
248Chè mi celi il bel volto, e mostri l’arme?

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