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218 | LA GERUSALEMME |
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XXXII.
Giungi amante, o nemico? il ricco ponte
Io già non preparava ad uom nemico;
Nè gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte,
252Sgombrando i dumi, e ciò ch’a’ passi è intrico.
Togli quest’elmo omai: scopri la fronte,
E gli occhj agli occhj miei, s’arrivi amico:
Giungi i labbri alle labbra, il seno al seno:
256Porgi la destra alla mia destra almeno.
XXXIII.
Seguia parlando, e in bei pietosi giri
Volgeva i lumi, e scoloria i sembianti;
Falseggiando i dolcissimi sospiri,
260E i soavi singulti, e i vaghi pianti:
Tal che incauta pietade a quei martírj
Intenerir potea gli aspri diamanti.
Ma il Cavaliero, accorto si non crudo,
264Più non v’attende, e stringe il ferro ignudo.
XXXIV.
Vassene al mirto; allor colei s’abbraccia
Al caro tronco, e s’interpone, e grida:
Ah non sarà mai ver che tu mi faccia
268Oltraggio tal, che l’alber mio recida.
Deponi il ferro, o dispietato, o ’l caccia
Pria nelle vene all’infelice Armida;
Per questo sen, per questo cor, la spada
272Solo al bel mirto mio trovar può strada.