< Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

CANTO UNDECIMO. 15

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:27|3|0]]

XLI.


  Mentre con tal valor s’erano strette
Le audaci schiere alla tenzon murale,
Curvò Clorinda sette volte, e sette
324Rallentò l’arco, e ne avventò lo strale:
E quante in giù se ne volar saette,
Tante s’insanguinaro il ferro e l’ale,
Non di sangue plebeo, ma del più degno:
328Chè sprezza quell’altera ignobil segno.

XLII.


  Il primo cavalier ch’ella piagasse
Fu l’erede minor del Rege Inglese.
De’ suoi ripari appena il capo ei trasse,
332Che la mortal percossa in lui discese.
E che la destra man non gli trapasse,
Il guanto dell’acciar nulla contese;
Sicchè inabile all’arme ei si ritira
336Fremendo, e meno di dolor che d’ira.

XLIII.


  Il buon Conte d’Ambuosa in ripa al fosso,
E su la scala poi Clotareo il Franco:
Quegli morì trafitto il petto e ’l dosso:
340Questi dall’un passato all’altro fianco.
Sospingeva il monton, quando è percosso
Al signor de’ Fiamminghi il braccio manco:
Sicchè tra via s’allenta, e vuol poi trarne
344Lo strale, e resta il ferro entro la carne.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.