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280 | LA GERUSALEMME |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:308|3|0]]
CX.
Sente la donna il cavalier che geme;
E forza è pur che si conforti alquanto.
Apri gli occhj, Tancredi, a queste estreme
876Esequie, grida, ch’io ti fo col pianto.
Riguarda me, chè vuò venirne insieme
La lunga strada, e vuò morirti accanto.
Riguarda me: non ten fuggir sì presto.
880L’ultimo don ch’io ti dimando è questo.
CXI.
Apre Tancredi gli occhj, e poi gli abbassa
Torbidi e gravi: ed ella pur si lagna.
Dice Vafrino a lei: questi non passa;
884Curisi adunque prima, e poi si piagna.
Egli il disarma: ella tremante e lassa
Porge la mano all’opere compagna.
Mira, e tratta le piaghe, e di ferute
888Giudice esperta, spera indi salute.
CXII.
Vede che ’l mal dalla stanchezza nasce,
E dagli umori in troppa copia sparti.
Ma non ha, fuor che un velo, onde gli fasce
892Le sue ferite in sì solinghe parti.
Amor le trova inusitate fasce,
E di pietà le insegna insolite arti:
Le asciugò con le chiome, e rilegolle
896Pur con le chiome che troncarsi volle;