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282 | LA GERUSALEMME |
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CXVI.
Seguian molti altri la medesma inchiesta;
Ma ritrovarlo avvien che lor succeda.
Delle stesse lor braccia essi han contesta
924Quasi una sede, ov’ei s’appoggi, e sieda.
Disse Tancredi allora: adunque resta
Il valoroso Argante ai corvi in preda?
Ah per Dio non si lasci, e non si frodi
928O della sepoltura, o delle lodi.
CXVII.
Nessuna a me, col busto esangue e muto,
Riman più guerra; egli morì qual forte:
Onde a ragion gli è quell’onor dovuto,
932Che solo in terra avanzo è della morte.
Così, da molti ricevendo ajuto,
Fa che ’l nemico suo dietro si porte.
Vafrino al fianco di colei si pose,
936Siccome uom suole alle guardate cose.
CXVIII.
Soggiunse il Prence: alla Città regale,
Non alle tende mie vuò che si vada;
Chè s’umano accidente a questa frale
940Vita sovrasta, è ben ch’ivi m’accada.
Chè ’l loco ove morì l’uomo immortale,
Può forse al Cielo agevolar la strada:
E sarà pago un mio pensier devoto
944D’aver peregrinato al fin del voto.