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318 | LA GERUSALEMME |
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LXXXVI.
E col grave suo scudo, il qual di sette
Dure cuoja di tauro era composto,
E che alle terga poi di tempre elette
684Un coperchio d’acciajo ha sovrapposto;
Tien dalle spade, e tien dalle saette,
Tien da tutte arme il buon Raimondo ascosto:
E col ferro i nemici intorno sgombra
688Sì, che giace sicuro, e quasi all’ombra.
LXXXVII.
Respirando risorge in spazio poco
Sotto il fido riparo il Vecchio accolto.
E si sente avvampar di doppio foco,
692Di sdegno il core, e di vergogna il volto.
E drizza gli occhj accesi a ciascun loco,
Per riveder quel fiero onde fu colto.
Ma nol vedendo freme, e far prepara
696Ne’ seguaci di lui vendetta amara.
LXXXVIII.
Ritornan gli Aquitani, e tutti insieme
Seguono il Duce al vendicarsi intento.
Lo stuol che dianzi osava tanto, or teme:
700Audacia passa ov’era pria spavento.
Cede chi rincalzò, chi cesse or preme.
Così varian le cose in un momento.
Ben fa Raimondo or sua vendetta, e sconta
704Pur di sua man con cento morti un’onta.