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CANTO VIGESIMO. | 327 |
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CXIII.
Vide ei Rinaldo; e benchè omai vermiglj
Gli azzurri suoi color sian divenuti:
E insanguinati l’Aquila gli artiglj
900E ’l rostro s’abbia; i segni ha conosciuti.
Ecco, disse, i grandissimi periglj.
Quì prego il Ciel che ’l mio ardimento ajuti:
E veggia Armida il desiato scempio.
904Macon, s’io vinco, i’ voto l’arme al tempio.
CXIV.
Così pregava; e le preghiere ir vote;
Chè ’l sordo suo Macon nulla n’udiva.
Come il leon si sferza e si percuote,
908Per isvegliar la ferità nativa;
Tale ei suoi sdegni desta, ed alla cote
D’Amor gli aguzza, ed alle fiamme avviva.
Tutte sue forze aduna, e si ristringe
912Sotto l’arme all’assalto, e ’l destrier spinge.
CXV.
Spinse il suo contra lui, che in atto scerse
D’assalitore, il cavalier Latino.
Fè lor gran piazza in mezzo, e si converse
916Allo spettacol fero ogni vicino.
Tante fur le percosse, e sì diverse
Dell’Italico eroe, del Saracino,
Ch’altri per maraviglia obliò quasi
920L’ire e gli affetti proprj e i proprj casi.