Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO VIGESIMO. | 331 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:361|3|0]]
CXXV.
Dimostratevi in me (ch’io vi perdono
La passata viltà) forti ed acute:
Misera Armida, in qual fortuna or sono,
996Se sol posso da voi sperar salute!
Poich’ogni altro rimedio è in me non buono,
Se non sol di ferute alle ferute;
Sani piaga di stral piaga d’Amore:
1000E sia la morte medicina al core.
CXXVI.
Felice me, se nel morir non reco
Questa mia peste ad infettar l’Inferno.
Restine Amor; venga sol sdegno or meco,
1004E sia dell’ombra mia compagno eterno:
O ritorni con lui dal regno cieco
A colui che di me fè l’empio scherno:
E se gli mostri tal, che, in fere notti,
1008Abbia riposi orribili e interrotti.
CXXVII.
Quì tacque; e stabilito il suo pensiero,
Strale sceglieva il più pungente e forte;
Quando giunse, e mirolla il Cavaliero
1012Tanto vicina alla sua estrema sorte,
Già compostasi in atto atroce e fero,
Già tinta in viso di pallor di morte.
Da tergo ei se le avventa, e ’l braccio prende
1016Che già la fera punta al petto stende.