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CANTO DUODECIMO. 49

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LIII.


  Guerra e morte avrai, disse, io non rifiuto
Darlati, se la cerchi: e ferma attende.
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
420Ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto,
Ed aguzza l’orgoglio, e l’ire accende.
E vansi a ritrovar non altrimenti
424Che due tori gelosi, e d’ira ardenti.

LIV.


  Degne d’un chiaro Sol, degne d’un pieno
Teatro, opre sarian sì memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
428Chiudesti e nell’oblio fatto sì grande,
Piacciati ch’io ne ’l tragga, e in bel sereno
Alle future età lo spieghi, e mande.
Viva la fama loro, e tra lor gloria
432Splenda del fosco tuo l’alta memoria.

LV.


  Non schivar, non parar, non ritirarsi
Voglion costor, nè quì destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
436Toglie l’ombra e ’l furor l’uso dell’arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
A mezzo il ferro; il piè d’orma non parte:
Sempre è il piè fermo, e la man sempre in moto:
440Nè scende taglio in van, nè punta a vuoto.

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