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78 | LA GERUSALEMME |
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XXXII.
Era il Prence Tancredi intanto sorto
A sepellir la sua diletta amica:
E benchè in volto sia languido e smorto,
252E mal atto a portar elmo o lorica,
Nulladimen, poichè ’l bisogno ha scorto,
Ei non ricusa il rischio o la fatica:
Chè ’l cor vivace il suo vigor trasfonde
256Al corpo sì, che par ch’esso n’abbonde.
XXXIII.
Vassene il valoroso, in se ristretto
E tacito e guardingo, al rischio ignoto:
E sostien della selva il fero aspetto,
260E ’l gran romor del tuono e del tremoto:
E nulla sbigottisce: e sol nel petto
Sente, ma tosto il seda, un picciol moto.
Trapassa; ed ecco in quel silvestre loco
264Sorge improvvisa la Città del foco.
XXXIV.
Allor s’arretra, e dubbio alquanto resta,
Fra sè dicendo: or quì che vaglion l’armi?
Nelle fauci de’ mostri, e in gola a questa
268Divoratrice fiamma andrò a gettarmi?
Non mai la vita, ove cagione onesta
Del comun pro la chieda, altri risparmi;
Ma nè prodigo sia d’anima grande
272Uom degno; e tale è ben chi quì la spande.