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CANTO DECIMOTERZO. | 81 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:97|3|0]]
XLI.
Pur tragge alfin la spada, e con gran forza
Percuote l’alta pianta. Oh maraviglia!
Manda fuor sangue la recisa scorza,
324E fa la terra intorno a se vermiglia.
Tutto si raccapriccia, e pur rinforza
Il colpo, e ’l fin vederne ei si consiglia.
Allor, quasi di tomba, uscir ne sente
328Un indistinto gemito dolente;
XLII.
Che poi distinto in voci: Ahi troppo, disse,
M’hai tu, Tancredi, offeso: or tanto basti.
Tu dal corpo, che meco e per me visse,
332Felice albergo già, mi discacciasti:
Perchè il misero tronco, a cui m’affisse
Il mio duro destino, anco mi guasti?
Dopo la morte gli avversarj tuoi,
336Crudel, ne’ lor sepolcri offender vuoi?
XLIII.
Clorinda fui: nè sol quì spirto umano
Albergo in questa pianta rozza e dura:
Ma ciascun altro ancor, Franco o Pagano,
340Che lassi i membri a piè dell’alte mura,
Astretto è quì, da novo incanto e strano,
Non so, s’io dica in corpo, o in sepoltura.
Son di senso animati i rami e i tronchi,
344E micidial sei tu, se legno tronchi.