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CANTO DECIMOTERZO. | 83 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata II.djvu{{padleft:99|3|0]]
XLVII.
Pur non tornò, nè ritentando ardío
Spiar di novo le cagioni ascose.
E poi che, giunto al sommo Duce, unío
372Gli spirti alquanto e l’animo compose:
Incominciò: Signor, nunzio son io
Di non credute e non credibil cose.
Ciò che dicean dello spettacol fero
376E del suon paventoso, è tutto vero.
XLVIII.
Maraviglioso foco indi m’apparse,
Senza materia in un istante appreso:
Che sorse, e, dilatando, un muro farse
380Parve, e d’armati mostri esser difeso.
Pur vi passai: chè nè l’incendio m’arse,
Nè dal ferro mi fu l’andar conteso.
Vernò in quel punto, ed annottò: fè il giorno
384E la serenità poscia ritorno.
XLIX.
Di più dirò; ch’agli alberi dà vita
Spirito uman che sente e che ragiona.
Per prova sollo; io n’ho la voce udita
388Che nel cor flebilmente anco mi suona.
Stilla sangue de’ tronchi ogni ferita,
Quasi di molle carne abbian persona.
No, no, più non potrei (vinto mi chiamo)
392Nè corteccia scorzar, nè sveller ramo.