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Sulle carte di visita era impresso uno stemma gentilizio sovrapposto ad una parola enigmatica, che i tre sapienti del villaggio non avevano osato interpretare: Abrakadabra.

I biglietti a stampa erano altrettanti boni della banca nazionale del valore di cinquecento franchi cadauno.

Le tre lettere determinavano lo scopo e l’indirizzo dell’oblazione.

La prima, al curato, per l’obolo di San Pietro;

La seconda, al sindaco, pel monumento a Vittorio Emanuele;

La terza, al farmacista, da suddividersi fra le due collette promosse da Garibaldi e da Mazzini pel milione di fucili... e pel soccorso alla libera stampa.

Il curato, il sindaco e il farmacista, nell’aprire quell’inatteso dispaccio, nel constatare le intenzioni del generoso oblatore, si erano fregati le mani a versarne sangue, esclamando con enfasi da partigiani: il signore è dei nostri!

Ed ecco per quale impulso i tre avversari politici del paesello si erano recati a visitare il signore, coincidendo intorno alla grossa bottiglia, che poi doveva riavvicinarli quotidianamente a discutere i grandi problemi della politica mondiale.

Durante la polemica, il contegno del signore era sempre enigmatico. Taceva con disperante costanza. La sua fronte spaziosa a volte si corrugava: i suoi occhi profondi vibravano lampi; le labbra tumide e sorridenti si contraevano, e i denti si serravano con sinistro cigolio.

Pareva ch’egli facesse uno sforzo violento contro gli impeti della propria volontà, per reprimere un torrente di idee e di parole che tentavano prorompere.

Quelle crisi erano passeggiere, ma atterrivano gli oratori, e imponevano agli entusiasmi della loro facondia.

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