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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu{{padleft:226|3|0]] sarsi di quel lui ignorato che dovrà essere il sole della nostra esistenza è qualche cosa che simiglia ad un’aurora. La nostra anima si rischiara, i nostri sensi tripudiano; noi ci sentiamo inondate di una beatitudine rivelatrice... Nella attonita fantasia il mistero prende forma, ed è una forma indeterminata, volubile, che ad ogni tratto svanisce per ricomporsi, per rassodarsi, per isfuggirci di nuovo, fino a quando, all’apparire di un essere reale, il cuore non ci gridi con un sussulto: eccolo! è lui! Ho cercato di esprimere le ansie della attesa, ma invano tenterei dipingere a parole la emozione che provai nel vedermi innanzi... quello sventurato. Egli era bello della tua bellezza; egli era pallido come tu lo sei; egli soffriva come tu soffri... I due famigli, sorreggendolo, lo accompagnarono fino al letto. Mi passò accanto, levò gli occhi, e il suo sguardo — poiché la parola gli era contesa dal dovere — esprimeva un ringraziamento affettuoso.
«I miei occhi non si affissarono che un istante su lui, ma la sua imagine rimase avvinta al mio cuore per non più dipartirsene. Mia madre, all’atto di allontanarsi, chiese al Levita se di nulla abbisognasse. «Troverò il mio posto per riposarmi — riprese quegli, e accennando al compagno che si appoggiava alla muraglia per sorreggersi, ci fece comprendere che la nostra presenza cominciava a divenire importuna. Ci avviammo per salire agli appartamenti superiori. Io non proffersi parola; le lacrime agglomerate sul cuore facevano intoppo alla voce. Prima che noi fossimo entrate nelle nostre stanze, uno scoppio fragoroso di tuono annunziò lo scatenarsi dell’uragano».
L’Immolata si interruppe. Il tremito convulso onde l’infermo era assalito lo avvertiva che i dettagli spaventevoli di quella scena potevano ucciderlo.