< Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu
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La mente del signore non era punto affaticata dal cozzo di tante idee, di tante ipotesi mal definite e peggio coordinate. Quella rassegna aveva portato il suo frutto. Gli aveva suggerito il modo più ovvio per esprimersi. Egli non cercava di meglio.

Vegliò tutta la notte sull’Abrakadabra. Quando il medico e i domestici entrarono, al mattino, nella sala, trovarono il signore seduto al tavolo, cogli occhi fissi alla figura cabalistica, intorno alla quale avea disegnato un laberinto di lineette e di segni misteriosi, un intreccio di circoli e di triangoli bizzarramente collegati; e in quello sfondo egiziano, inverosimili accoppiamenti d’uomini e di belve, di alberi e di case, una nuova generazione di animali e di vegetali sospesi o inchiodati alla periferia di un mondo impossibile.

Il medico, che era entrato in punta di piedi, si pose dietro le spalle del signore, e contemplava quegli sgorbi con espressione di pietà.

— Non sarebbe tempo di prendere un po’ di riposo? — disse il medico a mezza voce, come temesse di produrre una scossa troppo violenta sui nervi dell’amico.

Il signore, colpito da quella voce, tracciò rapidamente

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