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A prima giunta parrà assurdo. Ma l’idea di costituire l’Europa in una sola e grande nazione non avrebbe potuto sorgere nella mente dei popoli se il principio di separazione non si fosse preventivamente concretato.

La mente umana procede a gradi, ma non si diparte mai dalla linea retta.

Un po’ di storia retrospettiva per intenderci meglio.

Vi fu tempo — quando le aspirazioni, che più tardi si chiamarono nazionali, si agitavano in embrione nella mente di pochissimi — vi fu tempo in cui l’Italia era patria ignorata per la massima parte degli Italiani. — Ciò che per l’Italia, ripetasi per la Francia, per la Spagna, per tutte le altre nazioni.

Da noi si diceva: milanesi, bergamaschi, lucchesi, aretini, faentini e via via.

Ci vedevamo di rado. Poco ci conoscevamo: disgiunti da naturali barriere, da pregiudizii ereditati, ci detestavamo per tradizione.

Si aprirono delle strade — le comunicazioni si resero più facili — il commercio mise a contatto queste popolazioni limitrofe, che per molti secoli si credettero antipode. — Oh che?... non siamo tutti fratelli?... Non si parla tutti la medesima lingua? E dopo una tale domanda, in un giorno di buon umore o di comune pericolo, i cittadini di Lodi e quelli di Bergamo, i cittadini di Arezzo e i Pistoiesi, i cittadini di Faenza e quei di Ferrara, si fusero in una denominazione più collettiva — Lombardi, Toscani, Romagnoli. Il Municipio si eclissò nella provincia — più tardi le grosse provincie assorbirono le minori — le mille divisioni si restrinsero a cento — e quando le cento divennero dieci, la parola italiani uscì finalmente dallo spirito del popolo, e da quel giorno l’Italia fu fatta.

Più tardi — (le proporzioni si dilatano, ma il processo

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