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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu{{padleft:73|3|0]] spazio di pochi minuti rimasero vuote. — I magistrati, i savii e gli anziani erano scomparsi... I cittadini pei larghi sbocchi delle vie si disperdevano, affrettando il passo come a fuggire un luogo di desolazione. Sulla piazza deserta, poco lungi dal tempio, non rimaneva che un solo essere vivente — e questi, curvato, immobile, incatenato al palco di infamia, dominava la vasta solitudine, simile ad uno di quei neri fantocci che i contadini pongono a guardia dei campi.
L’Albani, durante la tremenda cerimonia, aveva provato tutti gli spasimi dell’agonia morale. Atterrito dal silenzio e dalla solitudine, il condannato fece uno sforzo per sollevare la fronte... aperse gli occhi... Poi, ricurvando la testa, ruggì coll’accento della disperazione: «Tutti dunque mi hanno abbandonato!»
— Non tutti! — rispose una voce melodiosa e soave come la voce di un angelo. — Non tutti! Gli uomini hanno sentenziato nella giustizia, ma Dio viene a te nella misericordia!
E l’uomo che parlava di tal guisa, posò la mano sulla spalla del condannato: e questi rianimandosi, levò di nuovo lo sguardo, e vide un giovane levita, coperto di bianche vesti, che con affettuosa pazienza si adoperava a rimuovergli le catene.
— Coraggio, fratello mio! — proseguì il sacerdote...
— Voi mi chiamate fratello? — mormorò l’Albani ricurvando la testa.
— Io solo ho questo diritto; è un santo diritto, che mi accorda l’altare, che il tribunale degli uomini non potrebbe contendermi. Al condannato, al reietto dalla umana famiglia, la Chiesa accorda un fratello, un compagno di pellegrinaggio, perchè sostenga il paziente sul cammino della espiazione. Questo incarico di sublime pietà venne a me accordato dal grande Levita, ed io gli resi grazie