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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu{{padleft:85|3|0]] della più sublime, della più santa passione. La voce, la parola, l’accento di quella conversazione era una musica divina, nella quale si fondevano tutte le armonie misteriose della natura.
Presso l’Arco della Pace le tre donne fecero sosta. Il lago era a poca distanza, e i gruppi dei lavoratori e dei passeggieri che si dirigevano a quella volta, divenivano frequenti.
— Mutiamo argomento — disse la Viola, trattenendo le compagne. — Qualche profano dell’antica razza potrebbe udirci e burlarsi di noi. Non esponiamo le cose sante al ludibrio dei pervertiti.
— Noi ci siamo slanciati per una via di fiori; abbiamo discusse le illusioni, i sogni gentili della vita, ma nulla abbiamo concluso.
— La sola conclusione possibile — disse la Viola — è che nell’era antica l’amore fu riguardato come un piacere, mentre il piacere non è nell’amore che un modo di manifestazione ed un complemento.
— Io credo che nessuno sia in grado di definire l’amore — disse la Viola — o piuttosto che ciascuna donna lo senta diversamente, secondo l’indole propria e l’educazione degli eventi. Per me l’amore è desiderio.
— L’amore è sacrifizio! — soggiunse Luce.
— L’amore è perdono! — sospirò Fidelia.
E in quel punto una voce vibrata e sonora ripetè le parole della fanciulla, e un giovane di bellissimo aspetto uscì da un cespo di dalie, e mosse incontro a Fidelia stendendole la mano.
Le tre donne trasalirono di sorpresa. Ma gli occhi di Fidelia furono attratti da forza magnetica verso lo sconosciuto — le due mani s’incontrarono — e un fremito di voluttà corse rapidamente dall’uno all’altro cuore. Quel fremito era la parola misteriosa dell’amore, il muto linguaggio delle anime, che l’una all’altra si rivelano.