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228 ATTO TERZO

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Momolo. Pezo; a ora che abbiè imparà, vegnì in età da desmetter.

Smeraldina. Mo cossa faroggio donca?

Momolo. La lavandera.

Smeraldina. Adesso vedo el ben che me volè. Cussì se burla le putte?

Momolo. Povera innocentina!

Smeraldina. Per causa vostra ho lassà andar tante bone occasion.

Momolo. Me despiase dasseno, ma no posso pianzer.

Smeraldina. Co vegnì per burlar, andè via de sta casa e no ghe stè più a vegnir.

Momolo. Sì, fia, anderò. No ve scaldè el sangue.

Smeraldina. Tante promesse che m’ave fatto, e cussì me ingannè?

Momolo. Me par fin adesso d’aver fatto el mio debito da galantomo.

Smeraldina. Eh, caro sior Momolo, credeu che no cognossa da cossa vien sta muanza? Semo larghi de bocca, e stretti de borsa. Ma no poderè dir che in casa mia v’abbiè rovinà.

Momolo. Mi no digo sta cossa.

Smeraldina. Cossa aveu speso da mi? Delle freddure che me vergogno. Dov’ele ste ricchezze, che m’avè promesso?

Momolo. Ho fatto quel che ho podesto, e se avessi avù giudizio, averave fatto de più.

Smeraldina. Eh caro sior, i xe tutti pretesti.

Momolo. Tutto quel che volè.

SCENA X.

Un Servitore e detti.

Servitore. È qui il signor Momolo?

Smeraldina. Chi v’ha averto la porta?

Servitore. Me l’ha aperta il signor Lucindo. Signore, di lei cercava. Ho da dargli questa lettera con questa scatola.

Momolo. Da parte de chi?

Servitore. Legga la lettera e lo saprà.

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