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354 | ATTO PRIMO |
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Truffaldino. Cossa credela che possa sperar a conto del mio salario?
Dottore. Questa lettera vi può profittar assaissimo, considerando l’ingratitudine delle donne, e fissando la massima di starvi lontano e di non fidarsi di loro. Lasciate quella lettera nelle mie mani, che dandola ora al signor Pantalone, gli sarebbe di troppo cordoglio. Io gli sono amico e lo compatisco; e voglio recargli tutto quell’aiuto ch’io posso nelle presenti sue circostanze. Penso al rimedio de’ suoi disordini; credo averlo trovato; un poco doloroso per i suoi creditori, ma il più facile ed il più usitato. (parte)
SCENA VII.
Truffaldino e Leandro.
Truffaldino. Quando in quella lettera no gh’è più sostanza de cussì, no me curo gnanca de portarghela a sior Pantalon. Me despias per el me salari, ma za che tutto va a precepizio, cercherò anca mi de pagarme sui resti.
Leandro. Truffaldino, son disperato.
Truffaldino. E anca mi son per la medesima strada.
Leandro. Mio padre ha consumato tutto il suo patrimonio e la mia legittima, e la dote ancor di mia madre di cui io solo era l’unico erede.
Truffaldino. Consoleve, signor, che l’ha consumà anca el me salari.
Leandro. Mia madre, poverina, è morta per le passioni di animo che le ha fatto provare.
Truffaldino. Oh, mi mo per questo no voio che me doggia la testa.
Leandro. E per far sempre peggio si è rimaritato mio padre con una giovane vana, petulante, superba.
Truffaldino. Questa farà le vendette de vostra madre, la lo farà morir de desperazion.
Leandro. Ma almanco, già che si è rimaritato, avesse lasciato da parte tante altre pratiche, tante amicizie che lo rovinano.
Truffaldino. El xe deventà sempre pezo.
Leandro. Che ho da far io, povero giovine?