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IL SERVITORE DI DUE PADRONI 601

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Truffaldino. Senza barba.

Florindo. (Era ella senz’altro). (da sè, sospirando)

Truffaldino. (Bastonade spereria de no ghe n’aver). (da sè)

Florindo. Sai la patria almeno del tuo defonto padrone?

Truffaldino. La patria la saveva, e no me l’arecordo.

Florindo. Torinese forse?

Truffaldino. Sior sì, Torinese.

Florindo. (Ogni accento di costui è una stoccata al mio cuore). (da sè) Ma dimmi: è egli veramente morto questo giovine Torinese?

Truffaldino. L’è morto siguro.

Florindo. Di qual male è egli morto?

Truffaldino. Gh’è vegnù un accidente, e l’è andà. (Cussì me destrigo). (da sè)

Florindo. Dove è stato sepolto?

Truffaldino. (Un altro imbroio). (da sè) No l’è sta sepolto, signor; perchè un alter servitor, so patrioto, l’ha avù la licenza de metterlo in t’una cassa, e mandarlo al so paese.

Florindo. Questo servitore era forse quello che ti fece stamane ritirar dalla Posta quella lettera?

Truffaldino. Sior sì, giusto Pasqual.

Florindo. (Non vi è più speranza. Beatrice è morta. Misera Beatrice! i disagi del viaggio, i tormenti del cuore l’avranno uccisa. Oimè! non posso reggere all’eccesso del mio dolore). (entra nella sua camera)

SCENA III.

Truffaldino, poi Beatrice e Pantalone.

Truffaldino. Coss’è st’imbroio? L’è addolorà, el pianze, el se despera. No voria mi co sta favola averghe sveià l’ipocondria. Mi l’ho fatto per schivar el complimento delle bastonade, e per no scovrir l’imbroio dei do bauli. Quel ritratto gh’ha fatto mover i vermi. Bisogna che el lo conossa. Orsù, l’è mei che torna a portar sti bauli in camera, e che me libera da

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