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L'AVVOCATO VENEZIANO 433

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Beatrice. Ma perchè l’avete fatto?

Rosaura. Per necessità. Mio zio è l’unica persona ch’io abbia al mondo da potermi fidare; egli mi minacciava di abbandonarmi, se non lo faceva.

Beatrice. E il Conte vi vuol bene?

Rosaura. Mi fa qualche finezza, ma non mostra gran passione. Io credo che egli faccia all’amore ai ventimila ducati della mia eredità.

Beatrice. Dicono che sia nobile, ma di poche fortune.

Rosaura. E quel che è peggio, dicono sia un uomo che vive di prepotenza.

Beatrice. Siete ben pazza, se lo prendete.

Rosaura. Ma come ho da fare?

Beatrice. Io, io vi insegnerò il modo di liberarvene; ma eccolo.

Rosaura. Guardate, se con quella cera brusca non fa paura.

SCENA VIII.

Il Conte Ottavio, le suddette, poi Colombina.

Conte. Servitore umilissimo di lor signore. (le donne s’alzano)

Beatrice. Serva, signor Conte.

Conte. Signora Rosaura, ho riverito ancor lei.

Rosaura. Ed io lei.

Conte. Non ho sentito che mi favorisca.

Rosaura. Questa sera avrà ingrossato l’udito.

Conte. O io ho ingrossato l’udito, o ella ha assottigliata la voce.

Rosaura. (Che bella grazietta!) (piano a Beatrice)

Beatrice. (È un umore curioso).

Conte. Come sta, signora Beatrice? Sta bene?

Beatrice. Benissimo, per servirla.

Conte. E ella che ha, che mi pare accigliata? (a Rosaura)

Rosaura. Che vuol che io abbia? Penso alla mia causa.

Conte. Per dirla, questa vostra causa credo voglia andar molto male.´

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