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SCENA XV.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Arlecchin l’è un galantuomo. El felippo l’ho avudo e l’abito l’ho despegnà.

Ottavio. (Ah, non mi posso nascondere). (da sè) Compatite le mie disgrazie.

Pantalone. Compatisso le so disgrazie, ma no compatisso la so superbia.

Ottavio. Basta, anderò via.

Arlecchino. (Sior paron, a casa no gh’è da magnar). (ad Ottavio)

Brighella. Illustrissimi, i risi vien tanto longhi.

Pantalone. Andemo a tola. Sior Ottavio, se la comanda, resti servida.

Ottavio. Vi ringrazio...

Arlecchino. (Sior paron, no gh’è gnente). (come sopra)

Ottavio. Basta, verrò per farvi piacere.

Arlecchino. E mi per farghe servizio.

Corallina. Andemo donca, andemo, siora Rosaura. E la sappia che siben che de gastalda son deventada parona, m’arrecorderò sempre dei mi principi, e no me lasserò insuperbir. E siben che ghe devento maregna, averò sempre per ela amor, riverenza e rispetto. El mio paron xe adesso mio mario, ma non ostante no gh’ho in testa de voler comandar, anzi de volerlo più amorosamente servir. So benissimo, che se fusse superba, tutto sto ben che godo me poderave deventar velen, e siccome son arrivada a sto grado colla pazienza, coll’onor e fedeltà, cussì spero di conservamelo colla gratitudine, e in ogni tempo, e in ogni hogo, in ogni occasion, se son deventada signora, me arrecorderò sempre d’esser stada una povera, ma onorata Gastalda.

Fine della Commedia.


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