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LA DONNA DI TESTA DEBOLE 197

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Gismondo. Non so che dire. Io non vi posso dar torto.

Roberto. E voi, don Gismondo, pensate voler continuare ad andarvi?

Gismondo. Oh, per un poco. Per non allontanarmi tutto ad un tratto. Per non far dire.

Roberto. Sì, anch’io ho risolto di far il medesimo.

Gismondo. Bisogna che andiamo a condolerci della sua disgrazia.

Roberto. È vero; questo è un complimento necessarissimo. Andremo poi allontanandoci un poco per volta.

Gismondo. Alla villeggiatura si tronca affatto. M’impegno che in quest’anno s’ha da ridurre in villa sola soletta a verseggiare con suo nipote. (parte)

Roberto. Verseggi con chi le pare. Se ha perduta la speranza de’ ventimila ducati, ella si renderà ridicola sempre più. (parte)

SCENA XI.

Camera.

Donna Violante sola, poi Argentina con lettera.

Violante. Ma se don Pirolino sostiene costantemente che la causa è persa, e contro di me pronunziata; se con tanta franchezza la spiega, la traduce, l’intende, dovrò io credere d’aver vinto, dovrò cantare il trionfo prima d’esserne assicurata? No certamente, non fo sì gran torto a don Pirolino.

Argentina. Signora padrona, ho da darle una cosa che mi fa paura.

Violante. Che cosa?

Argentina. Una lettera insanguinata.

Violante. Insanguinata? come? da chi?

Argentina. Il povero don Fausto, ferito in una mano da don Roberto, l’ha scritta colla mano offesa e l’ha sporcata con il suo sangue. In verità mi rimescolo tutta. Non ho coraggio di rimirarla.

Violante. Da’ qui, da’ qui. Il sangue non mi fa tremare. Ho uno

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