< Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

LA CAMERIERA BRILLANTE 249

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu{{padleft:257|3|0]]

Clarice. Sei una temeraria. Il tuo ardire s’avanza a troppo. Metterti in confronto di una mia pari? No, non lo sposerai. Mio padre ha avuta per me la parola da lui. Odio le sue stravaganze, ma non soffrirò che mi faccia un affronto. Tu sei una pettegola. Florindo è un pazzo. Ma giuro al cielo, io son chi sono. (parte)

Florindo. Ridi, Argentina, che l’è da ridere. Ehi, hai tu detto da vero?

Argentina. Perchè no?

Florindo. Sai dove sto di casa. Se vieni da me, in due parole ti sbrigo. (parte)

Argentina. Non lo prenderei, se mi facesse padrona di tutto il suo. Ma ho piacere a far disperare la signora Clarice. Ella non può veder me, ed io non posso soffrir lei. In questa parte andiamo d’accordo. Mi preme all’incontro la signora Flaminia, e la servirò come va. Mi preme poi me medesima, e non perderò di vista l’interesse mio. Io l’intendo così. Rider di tutti, burlar quando posso. Farmi amar da chi voglio; e far crepar dalla rabbia chi non mi vuol bene. (parte)

Fine dell’Atto Primo.


Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.