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LA CAMERIERA BRILLANTE 255

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SCENA IV.

Argentina e detti.

Argentina. Eccomi, eccomi. Chi mi vuole?

Pantalone. Mi no ve chiamo.

Ottavio. Venite, cara Argentina, dite voi al signor Pantalone chi sono.

Pantalone. No gh’è sto bisogno...

Ottavio. Egli non ha per me quella stima, che ha tutto il mondo che mi conosce.

Argentina. Ah signor padrone, sappiate...

Pantalone. No vôi saver gnente.

Argentina. No, ascoltatemi.

Pantalone. Ve digo, che no ghe ne vôi saver...

Argentina. Ed io voglio che mi ascoltiate.

Pantalone. Ma se...

Argentina. Ma se, ma se... ascoltatemi... (irata)

Pantalone. Via, via, siora, no me magnè, che v’ascolterò. (La xe una vipera, ma ghe voi ben). (da sè)

Ottavio. (Costei ha del penetrante). (da sè)

Argentina. Sappiate che il signor Ottavio è un cavaliere di una famiglia antichissima del regno di Napoli, discendente da quattro re.

Ottavio. No, no, non sono tanti.

Argentina. Sì, è vero: non sono quattro re. Sono tre re, falla danari.

Pantalone. Vardè po, che i sarà tre fanti.

Argentina. Egli è ricchissimo signore; avrà d’entrata all’anno centomila zecchini.

Pantalone. Bù! (imita colla bocca uno sparo) Varda la bomba.

Ottavio. No centomila zecchini; non tanto.

Argentina. Quanto? Cinquantamila?

Ottavio. Non arrivano.

Argentina. Trenta?

Ottavio. In circa.

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