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272 ATTO SECONDO

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SCENA XVII.

Brighella e detti.

Brighella. (Porta il lesso, e leva la minestra) Signori, gh’è qua una dama che desidera vegnir avanti. (Voggio far muso duro per no scoverzer la burla). (da sè)

Ottavio. Una dama? (s’alza)

Pantalone. Chi èla sta dama? Cossa vorla?

Ottavio. Domanda forse di me? (a Brighella)

Brighella. La domanda giusto de ela. (ad Ottavio)

Ottavio. Una dama che domanda di me? (pavoneggiandosi) Una dama domanda di me, signor Pantalone.

Pantalone. La vaga a veder cossa che la vol.

Ottavio. Dove volete ch’io vada? Per riceverla in casa vostra non vi è luogo miglior di questo. Vi contentate, signore, ch’io la riceva qui? (a Flaminia e Clarice)

Flaminia. Per me son contentissima. (Ho curiosità di vederla). (da sè)

Clarice. Io non mi prendo soggezione di chi che sia.

Ottavio. Fatela passare. (a Brighella)

Brighella. Subito. (Arzentina ne farà rider con quel matto de Traccagnino). (da sè, e parte)

Pantalone. In casa mia son padron mi...

Ottavio. Sì, siete padrone; ma siete un galantuomo, un uomo civile. Le dame vi onorano. Vedete? per causa mia vengono ad onorarvi le dame. Dove son io, si qualifica anche una villa, una capanna, un tugurio. Alzatevi, signore mie. (a Flaminia e Clarice)

Clarice. Perchè s’abbiamo d’alzare? Siamo a tavola, venga chi vuole.

Ottavio. Non signora; a me non s’insegnano le regole della cavalleria. Ehi, chi è di là?

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