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IL FILOSOFO INGLESE 353

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Jacobbe. Dagli le scarpe sue. Ecco un scellino. Prendi.

(a Gioacchino)
Gioacchino. Ecco le scarpe vostre. Più non vi bagno il gozzo.
Potete andare a bere alla fontana o al pozzo. (parte)
Panich. Jacob, non ti ringrazio, se l’hai per me pagato:
Soccorrer ciascheduno il prossimo è obbligato.
Natura ti ha sforzato a far codesta azione,
Per questo io non ho teco veruna obbligazione.
(entra dalla Brindè)

SCENA V.

Jacobbe Monduill solo.

Sensi di un cuor perverso, di un animo inumano,

Tanto di mente astuto, quanto di cuor villano.
È ver che la natura ci sprona a far del bene,
Ma le cagion seconde considerar conviene;
E se qualunque bene a noi provien dal cielo,
Il ciel rimunerato vuol di chi dona il zelo.
Mercede i’ non ti chiedo di una moneta vile,
Condanno te soltanto per l’animo incivile.
Ah, che non vi è nel mondo peggior triste animale
Dell’uom che con il vizio confonda la morale.
Superbia senza freno suole appellar contegno,
Col nome di giustizia suol colorir lo sdegno;
L’usura e l’interesse vantar economia,
L’asprezza del costume chiamar filosofia.
Color che di virtude san mascherar gl’inganni,
Sono i più cari al mondo, ma sono i più tiranni.

SCENA VI.

Emanuel Bluk e detto.

Emanuel. (Sempre egli è qui costui). (da sè, osservando Jacobbe)

Jacobbe.   (Ecco il fratel di quello).
(da sè, vedendo Emanuel)

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