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TERENZIO 385

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Ecco una maggior prova dell’amor di Lucano:

Figlio a me sia Terenzio, dando a Livia la mano.
Terenzio. (Che farò?) (da sè)
Livia.   (Che risponde?) (da sè)
Terenzio.   Signor, bastanti pregi
Non ha Terenzio ancora per meritar tai fregi.
Chi i propri beni al censo vantar non può ne’ lustri,
Ottar sai che non puote fra candidati illustri.
Livia è nata agli onori; d’un misero privato
Sdegna la sorte umile chi è nata al consolato.
Livia. Padre, Terenzio il merta. Forma il censo al liberto:
Tua bontà si coroni, abbia l’onore offerto.
Lucano. Facciasi. I doni vari, schiavo, a te pervenuti,
Liberi a tua virtute fur del cuor mio tributi.
Altri aggiunger non nego, fino che l’uopo il chieda;
Ma l’uso che facesti de’ beni tuoi si veda, (a Terenzio)
Terenzio. Sì, lo vedrai. Concedi brevi momenti; io torno.
Verrò forse, tornando, di maggior gloria adorno.
Celare un’opra ardita dovrebbesi a Lucano,
Ma son l’eroiche prove familiari a un romano. (da sè)

SCENA VIII.

Lucano, Livia, Lelio, Fabio e Damone.

Livia. (Qual mistero nasconde?) (da sè)

Lucano.   (Terenzio, io non intendo), (da sè)
Fabio. (Sai tu che dir si voglia?) (piano a Lelio)
Lelio.   (Sì, lo so, lo comprendo).
(piano a Fabio)
Damone. Signor, signor mio caro, dolce signor clemente,
A tutti generoso, e a Damone niente? (a Lucano)
Lucano. Libertà per legato alla mia morte spera.
Damone. Deh, mi facciano i numi la grazia innanzi sera.

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