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464 ATTO SECONDO

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Dove se pregia tutti d’aver della pietà,

No me posso dar pase, che el tratta in sta maniera
Una che ghe vol ben, che pianze e se despiera.
Gh’ho proprio el cuor serrà: eh, matto che son mi;
No gh’intro per un bezzo, e afflizerme cussì?
Se tanto me dà tanto, se son appassionà,
Cossa faravio allora, se fusse innamorà?
Creperave, ho paura. Donca, scomenzo a dir
Che el Conte gh’ha rason d’andarse a devertir.
Ma el gh’ha torto, el gh’ha torto. Chi vol la libertà.
Se lassa star le putte. La xe una crudeltà.
Avanti de taccarse, bisogna aver inzegno.
Dopo, chi è galantomo, no ha da lassar l’impegno.
O el Conte ha da resolver de far quel che ghe digo,
O in mi, ghe lo protesto, el trova un so nemigo.
I omeni onorati no i pol soffrir ste azion.
Son Venezian, ne voggio far torto alla nazion. (parte)

SCENA VII.

Camera in casa del Commissario.

Madama Graziosa ed il Conte.

Madama. Favorisca, illustrissimo. (alla dritta del Conte)

Conte.   Oh, formiamo i capitoli.
Primo, che fra di noi s’ha da lasciare i titoli.
Madama. Compatisca, son usa così titoleggiando,
Perchè, veda, anche me mi van lustrissimando.
Conte. Bene, tutto va bene, vi venero, vi stimo.
Ma da una banda i titoli per capitolo primo.
Madama. Come comanda lei: favorisca sedere.
Oh no, da questa parte. (passa alla sinistra)
Conte.   Oibò.
Madama.   So il mio dovere.
Conte. Capitolo secondo: fra noi, vi raccomando,
Che vadano per sempre le cerimonie in bando.

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